Il coraggio di amare la propria terra: la storia di Giancarlo Siani

Il 17 marzo ho avuto la possibilità di partecipare ad un incontro pensato dal settore adulti diocesano che ha avuto luogo presso la Parrocchia di S. Michele Arcangelo a Rovigliano, Torre Annunziata, dal titolo “Il coraggio di amare la propria terra”. Si è trattato di un evento organizzato in preparazione al 21 Marzo, giornata nazionale dell’impegno nel ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Prendere parte a questo convegno è stato per me un onore.

Alla presenza del Vescovo Marino – sempre molto attento e sensibile a queste tematiche – e di un gruppo di ospiti d’eccezione, abbiamo fatto memoria di una grande figura di impegno civile e professionale della nostra terra, Giancarlo Siani. Egli era un giornalista de “Il Mattino”, originario di Napoli, impegnato come corrispondente dalla città di Torre Annunziata e assassinato dalla Camorra il 23 settembre del 1985.

Porto con me da questa serata tutte le testimonianze e gli interventi degli illustri ospiti. Il primo relatore è stato il Dottor Antonio Irlando, ex giornalista dell’Ansa e amico di Giancarlo. Egli ci ha aiutato a ricordarlo nel migliore dei modi, descrivendolo come “un giovane di 26 anni che amava il proprio lavoro, un ragazzo normale, sereno e sempre attivo. Semplicemente una persona che faceva bene il suo mestiere”. Queste parole, che evidenziano l’umiltà e l’ordinario impegno nella propria professione, mi hanno fatto comprendere che non c’è necessariamente bisogno di compiere atti straordinari per essere ricordati come degli eroi, ma basta fare bene ciò che si è chiamati a fare: “il piccolo del quotidiano, se fatto con il cuore, può diventare qualcosa di grande”. Ancora, dell’intervento di Irlando mi ha stupito l’invito a ricordare le persone che hanno combattuto per la legalità in maniera semplice, senza “mitizzarle” troppo. Porre questi nostri “martiri civili” su di un piedistallo, infatti ci fa correre il rischio di allontanarli troppo da noi, di renderli irraggiungibili e inimitabili. Il loro esempio e le loro azioni, invece, devono diventare punti di riferimento per le giovani generazioni, in quanto ad oggi un qualsiasi giovane che voglia intraprendere la carriera giornalistica deve avere l’occasione di raccogliere l’eredità di Siani.

Nel secondo intervento, il Presidente della Fondazione Siani, Geppino Fiorenza, ha tenuto a sottolineare il modo con cui tipicamente definiamo le vittime delle mafie. Queste sono sempre dipinte come persone trovatesi “nel posto sbagliato al momento sbagliato”. Secondo Fiorenza dire ciò significa offendere la loro memoria. Al contrario, sono sempre i killer, i carnefici, coloro che fanno il male ad essere nell’errore, a trovarsi nello sbaglio; mentre le vittime sono sempre nel giusto: la loro unica “colpa” è quella di ritrovarsi nei luoghi in cui quotidianamente sono chiamati a compiere il loro dovere. Ancora, il Relatore ci ha ricordato di come Siani fosse un ragazzo comune e con una gran voglia di vivere, oggi fonte di ispirazione per molti altri giornalisti. Il suo metodo di inchiesta, che ha definito come “metodo Siani”, consisteva nel raccogliere molte fonti, ascoltare e sentire tutti i testimoni così da ottenere un racconto veritiero sui fatti accaduti. È stato proprio questo metodo a costargli la vita. In un suo articolo, Giancarlo smaschera letteralmente le famiglie camorristiche della città di Torre Annunziata, accusandole di aver tradito uno dei boss locali. La sua colpa è stata quella  di mostrare a tutti il vero volto della Camorra, rendendo pubblica la natura infame e vile dell’“Organizzazione”.

Nell’ultimo intervento, il procuratore Raffaello Falcone ci ha riportati ancora al titolo della serata: tutti noi possiamo diventare eroi se scegliamo di “avere il coraggio di amare la nostra Terra”. Dalle sue parole abbiamo capito che purtroppo oggi la Camorra non è stata ancora sconfitta, ma è tutt’ora attiva in molti settori e si insinua nei luoghi di “vuoto” che lo Stato non riesce a colmare. Se in passato l’operato di questa organizzazione era più visibile, oggi lo è di meno: i camorristi si sono lentamente trasformati in imprenditori, politici e amministratori locali nel tentativo di legalizzare le proprie attività. Dunque, se prima per far fronte al crimine organizzato c’era bisogno delle operazioni militari e dell’impiego massiccio delle forze dell’ordine, oggigiorno le prime sentinelle, i primi soggetti protagonisti della lotta alla criminalità devono essere i cittadini, le persone che vivono il territorio e che abitano la società. La partecipazione e l’impegno civico devono essere le principali armi per combattere la Camorra. L’onestà e la moralità, principi profondamente cristiani oltre che civili, devono essere trasmessi ai più piccoli. La legalità è figlia di una scelta, così come lo è l’illegalità. Dobbiamo dunque impegnarci nell’essere profondamente consapevoli delle nostre azioni per diventare veri testimoni, credenti e credibili del nostro tempo.

 

 

Franco Parmarosa Tagliaferro – Parrocchia S. Francesco D’Assisi – Casilli – San Giuseppe Vesuviano

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