“Chiamati a scoprire il sapore. La cura educativa come vocazione” questo è stato il titolo del Convegno ACR a cui ho partecipato insieme ad altri settecento educatori provenienti dalle diocesi di tutta Italia. Proprio sulla dimensione vocazionale ci siamo soffermati ricostruendo il processo col quale le vocazioni educative nascono partendo dal gruppo, passando dall’associazione e arrivando a radicarsi nella Chiesa.
Il primo dei relatori ad intervenire è stato Pierpaolo Triani, professore di Didattica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Consigliere Nazionale del settore adulti, che ci ha aiutato a riflettere sull’importanza del gruppo: palestra in cui allenare le relazioni autentiche, luogo che aiuta a scoprire i talenti da mettere al servizio degli altri, dispositivo di gratuità. Il gruppo NON è una realtà magica ma un ambiente forte, potente e allo stesso tempo delicato, da curare continuamente. Il gruppo è indispensabile per far crescere la prospettiva della vocazione perché questa non è un fatto individuale ma personale poiché la scelta educativa ha delle risonanze sugli altri e per di più ha come compito quello di formare persone.
La seconda persona che ci ha donato la sua esperienza è stato don Luigi Ciotti, presidente di Libera, che ci coinvolge col suo sogno: “Ogni contesto educativo può e dev’essere educativo, io sogno la città educativa, dove c’è spazio per tutti e vince il noi!”. Ci ricorda che oggi viviamo in una società debole e fragile che si sente forte respingendo i poveri e gli immigrati, nascondendo così quelle che sono le debolezze interne. Il bene comune è etica della politica e scopo del suo servizio, esso nasce dalla strada intesa come luogo di relazione e di incontro, comincia dal bene del prossimo e convive con il povero e l’escluso. L’invito che ci lascia don Ciotti è quello di lottare per la speranza di un mondo migliore, non rendendoci complici di ciò che accade ma lottando per il bene comune che equivale a lottare per la vita.
Il nostro Presidente, Matteo Truffelli, ci ha ricordato il nostro essere educatori come discepoli-missionari. Noi siamo chiamati ad un servizio di responsabilità che vale la pena offrire a tutti, nessuno escluso, a condizione che, il modo in cui svolgiamo il nostro compito educativo, sia preceduto da un’attenta lettura della realtà che ci circonda ed in questo un grande aiuto deve arrivare da tutta l’associazione. Un educatore, inoltre, non deve mai sentirsi arrivato, è sempre in formazione e deve sentire questa necessità, anche in questo l’associazione deve prendersi cura di noi ricordandoci che l’educatore è parte viva di un qualcosa di più grande.
Mons. Domenico Battaglia poi ci ha illuminato parlandoci dell’educazione come “arte”, il prendersi cura di qualcuno è arte perché genera bellezza, rende tutti più forti. Ci ha lasciato poi tre parole importanti che costituiscono il sogno di Dio nella nostra vita: accogliere, accompagnare e discernere. Queste tre parole però non possono fare a meno dell’ascolto che permette di entrare nel cuore di chi ci sta parlando. Anche se noi educatori siamo persone fragili dobbiamo ricordare che Dio non ci abbandona e crede in noi come generatori di cura, di dialogo, di vita.
Durante il pomeriggio del sabato ci siamo divisi in quattro gruppi nei quali abbiamo fatto esperienza della nostra chiamata a servizio dei piccoli attraverso quattro punti: la prossimità nel dolore, la presenza dei poveri, il lavoro e l’impegno politico. Io ho affrontato il tema del servizio attraverso la prossimità nel dolore, vivendo prima un breve momento di meditazione nella chiesa di San Luigi dei Francesi, luogo in cui ammirare il famoso dipinto di Caravaggio della vocazione di San Matteo, e poi facendo visita all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma dove siamo stati accolti dal dottor Pietro Merli e da don Luigi Zucaro, cappellano dell’ospedale, che ci ha lasciato delle parole stupende definendo quest’ospedale come la Porta del Cielo, dove si sperimenta che davvero c’è qualcosa oltre la vita. Inoltre, è luogo dove la speranza non tramonta mai e noi siamo chiamati anche ad alimentare questa Speranza sia nell’innocenza di un bambino sofferente sia nelle famiglie di costoro.
Nelle conclusioni della domenica mattina Luca Marcelli, responsabile nazionale ACR, ha toccato un po’ tutti i punti affrontati nei giorni precedenti e mi ha lasciato, in particolare, due bellissimi pensieri: il primo riguarda la nostra vocazione che non è quella dell’educatore ACR ma quella di educatore di AC a servizio di tutta la Chiesa; il secondo è sul Battista, modello dell’educatore, che non tiene i discepoli per sé, egli diminuisce per far crescere loro o meglio per far vedere loro Dio, compito a cui siamo chiamati noi educatori.
Una cosa che mi ha colpito in questa mia prima esperienza nazionale è stata l’apertura dell’AC a condividere in diretta su YouTube tutto il convegno ed a questo punto qualcuno potrebbe, giustamente, pensare: “Che ci sei andato a fare? Potevi sentire le stesse cose stando comodamente sul divano di casa invece di andare a Roma” ed è vero ma c’è un però. Tutte queste belle parole ascoltate ed incise nel cuore e nella mente non sarebbero state le stesse senza gli incontri fatti, senza le nuove amicizie, senza la condivisione dei vari momenti con persone stupende che erano lì da ogni parte d’Italia ma alla quali ero meravigliosamente unito dal primo incrocio di sguardi, ho capito che è così che ci si sente quando si è membri di una grande famiglia!
Pasquale Cirillo (membro dell’ equipe Acr- parrocchia San Pietro Apostolo- Scafati)