Le domande dei ragazzi: il fulcro del seminario nazionale “La vita domanda”, tenutosi a Roma lo scorso weekend, al quale ho partecipato con entusiasmo e voglia di scoprire, con occhi e orecchie spalancati, con il desiderio di trovare risposte che, alla fine, sono state semplicemente sovrastate da nuove domande.
Quella del seminario nazionale è stata per me un’esperienza nuova che mi viene da definire con una parola: “densa”. Densa di contenuti nuovi e di vecchi da rispolverare, densa di emozioni a volte contrastanti, densa di esperienze con le quali confrontarsi, densa di nuovi incontri speciali, densa di fede e densa, ovviamente, di domande nuove.
“Ragazzi perché fate delle domande?” è stato chiesto ai ragazzi dell’Acr invitati al seminario e loro hanno risposto: “Semplice, perché siamo curiosi!”. Sì, i ragazzi sono curiosi perché “sanno di non sapere” – come ci diceva Ilaria Rodella dei Ludosofici – e si affacciano alle novità senza inutili preconcetti e l’ansia di dover dimostrare, come accade spesso a noi adulti. I ragazzi si pongono di fronte alle novità con facilità e la voglia di meravigliarsi, anche se questo potrebbe portarli lontani dai soliti schemi, mentre noi adulti cerchiamo di riportare tutto e subito all’interno di quei soliti schemi, per non perdere mai quel senso di sicurezza che tanto ci è caro. Loro, lo sappiamo, di domande ne fanno tante, spesso anche a noi educatori… E quanto è difficile trovare una risposta? Eppure, spesso, le risposte non sono necessarie, anzi forse sarebbero da definire superflue. Quello che siamo chiamati a fornire ai ragazzi, invece, è uno spazio di sperimentazione, una presenza accogliente e un ascolto sincero. Poi alle risposte ci arrivano da soli, alle risposte quelle personali dettate da un senso critico e da uno sguardo aperto alla realtà e all’esperienza. Compito nostro è solo accompagnarli nel cammino, perché – come ci diceva Stefano Venturini, Incaricato Nazionale alla branca Lupetti e Coccinelle dell’Agesci – tutto ciò che facciamo “passa dai piedi” e, attraverso il cuore, arriva alla testa. Ed è proprio attraverso l’esperienza condivisa del cammino che i ragazzi possono incontrare Gesù e alimentare la loro fede; proprio come i discepoli di Emmaus, che dopo essere partiti da Gerusalemme ognuno con il proprio vissuto, incontrano Gesù lungo la strada, e lo riconoscono attraverso la Parola e il gesto di spezzare il pane; ne fanno, cioè, esperienza! Perché in fondo, la nostra scommessa da educatori, da rinnovare ogni giorno, è proprio una catechesi esperienziale, attraverso cui i ragazzi imparino a stare nel mondo, a guardarlo, ad entrarci in contatto, scoprendone la complessità senza però sminuirla, ponendosi le importantissime “domande di vita”.
C’è da fare, quindi, una riflessione a tal proposito: noi educatori, noi adulti, riusciamo davvero a lasciare spazi e tempi ai ragazzi, dandogli la possibilità di abitarli a modo loro? Perché i ragazzi hanno il diritto di essere ascoltati. Hanno diritto di ricercare e di esprimere le proprie idee. Hanno diritto a sviluppare la propria personalità in tutte le sue potenzialità. I ragazzi sono persona attive, interessate, capaci di guidare il cammino con i loro passi e i loro tempi. Anche loro sono discepoli-missionari, sono ponti verso tutti quelli che incontrano nella loro vita, sono parte attiva del popolo di Dio che è la Chiesa.
Proprio per questo, infatti, il percorso formativo pensato per i ragazzi è fondato sulle “domande di vita”: i loro sogni, i progetti più belli, le attese più profonde che portano nel cuore – la vita stessa dei ragazzi che incontra il percorso formativo – ed educare, allora, è una dinamica che parte dalla vita e torna alla vita attraverso l’incontro con Gesù, attraverso le domande che permettono di partire dalla superficie e di andare in profondità, mettendo in collegamento la propria vita con il Vangelo. Perché in fondo credere significa proprio non abbandonarle mai le domande che nascono in noi e incontrarle costantemente, lasciandoci interrogare da loro. Siamo, infatti, noi educatori i primi a dover coltivare le nostre domande di vita che ci rendono capaci di profondità, di sguardo non giudicante ma sempre pronto a cogliere e accogliere i cambiamenti costanti della vita dei ragazzi, di relazione autentica in cui riconoscere l’altro per ciò che è, anche quando è lui stesso a dimenticarsene. Le domande di vita sono quelle che in fondo non smettiamo mai di porci… Chi, una volta guardato, riconosciuto, smette mai davvero di chiedere “Mi guardi?”?!
Ed infine, non dimentichiamoci del gruppo, perché è insieme che si cammina, è insieme che si scopre, è insieme che si alimenta quella brace che è la fede. Sì, non una fiammella che potrebbe spegnersi con un soffio di vento, ma una brace. Un’immagine di certo meno evocativa, ma che coglie il senso della fede: un pezzo di legno vivo, caldo, che non si spegne anche se a volte dimentichiamo di alimentarlo, qualcosa che dura nonostante tutto e che si nutre proprio attraverso domande ed esperienze.
Francesca Masucci