Rimaniamo, andiamo, gioiamo!

Ho avvertito come una sorta di “complicità” tra il Papa e l’Azione cattolica. Una fiducia estrema, da parte di Francesco. Come se lui sapesse, nel più profondo del suo cuore, che noi conosciamo e condividiamo davvero il sogno di Chiesa che le sue parole e i suoi gesti stanno disegnando (devo essere sincero: temevo qualche “cazziata” per le nostre pigrizie, e sapete che ce ne sono…). Perciò lasciando l’Aula Paolo VI, oltre la gioia e l’emozione del momento, ho avvertito una responsabilità enorme, da far tremare i polsi: meritarci la fiducia di Papa Francesco e della Chiesa. Realizzando davvero, e non a chiacchiere, le cose che ci ha chiesto. Nella nostra vita, nella vita delle nostre famiglie, a scuola e sul lavoro, nel quartiere e nella piazza del paese, nella vita della nostra associazione e delle nostre parrocchie.

Non tocca a noi fare grandi e illuminate analisi sull’Assemblea nazionale e sull’udienza del 3 maggio. Siamo “semplici” responsabili diocesani e parrocchiali, soci e simpatizzanti che vogliono bene all’Ac. In giro ci sono tante riflessioni interessanti e di carattere più generale: vi segnalo quella di Luigi Alici, ex presidente nazionale, che trovo davvero puntuale e illuminata. Il nostro dovere, piuttosto, è quello di porci una domanda precisa: “Rimanere, andare, gioire: come si incarnano questi tre verbi nella realtà concreta dell’Ac della diocesi di Nola?”.

Il percorso che svolgeremo nei prossimi mesi ci aiuterà a capirlo. Prima la festa unitaria del 7 giugno a Nola, poi il campo unitario (30 luglio – 3 agosto), infine il Convegno di inizio anno (settembre) saranno uniti da un filo rosso, da una parola chiave: gioia. E da un compito prioritario: metterci tutti in missione, educatori e responsabili in testa, convertire l’intera nostra vita associativa alla logica della missione e dell’evangelizzazione. A costo di lasciar per strada, e senza alcun rimpianto, esagerazioni, doppioni, complicazioni e fissazioni che a volte ci fanno perdere tempo ed energia (e persone). Quel tempo e quell’energia che oggi, come ci ha detto anche il presidente Franco Miano durante l’Assemblea, ci servono per immergerci nella vita concreta delle persone. Si chiama “primato della vita”, è la nuova parola d’ordine dell’Ac nel triennio 2014-2017.

Per iniziare questa riflessione, che deve essere accompagnata continuamente dall’esperienza diretta sul campo, propongo tre provocazioni, tre idee da cui partire e da cui iniziare a riflettere in modo particolare con i Consigli parrocchiali, in una fase – quella di maggio/giugno – che deve essere dedicata alla programmazione del prossimo anno associativo.

Rimanere e Andare. Questi due verbi sono intimamente collegati. Se “rimango in Cristo”, e poi non “vado verso l’altro”, c’è qualcosa che non va. Vuol dire che il mio rapporto con il Signore è unilaterale: io gli dico le mie difficoltà e le mie paure, ma poi non ascolto ciò che mi chiede. Se “vado” ma non “rimango” mai con Gesù, vuol dire che il mio è un attivismo fine a se stesso, per sentirmi “importante”. Siamo chiamati, ora e non domani, a scelte fondamentali. Le elenco in ordine sparso:

–  sfruttare al massimo l’esperienza degli Esercizi spirituali e dei campi diocesani, occasioni di ristoro e di incontro con il Signore che rilanciano le motivazioni più profonde;

–   coinvolgere pienamente i sacerdoti nell’accompagnamento spirituale di responsabili, educatori, soci e simpatizzanti, perché il “fare” non sia dissociato dall’”essere”;

–  essere, come responsabili ed educatori, innanzitutto dei “pescatori di uomini” sul modello di Pietro, e poi degli impeccabili organizzatori di incontri formativi;

–   essere, come associazione, così sapienti e intelligenti da saper rimodulare la proposta con orari, tempi e luoghi adatti a tutte le condizioni di vita, diventando aperti davvero a tutti e non solo a quelli che hanno “condizioni ideali”.

Consentitemi, da questo punto di vista, una provocazione per responsabili ed educatori: prendiamo tutto il tempo dedicato ad aspetti organizzativi e preparativi. Bene, prendiamo metà di questo tempo, solo la metà. E reinvestiamolo nella ricerca “ansiosa” degli altri. Il sogno dell’Ac è avere educatori “inquieti” – il Papa si è tanto raccomandato di non essere “statue da museo” -, che non trovano pace finché anche altre persone non scoprano la bellezza del camminare insieme a Dio e insieme agli altri. L’Ac sogna educatori che conoscono il quartiere metro per metro, buca per buca. Che conoscono famiglie, insegnanti e dirigenti scolastici, negozianti, disabili, immigrati, situazioni di povertà… Educatori che conoscono per nome tutti – e dico tutti – gli adulti, i giovani, gli adolescenti e i bambini che abitano dalle sue parti, che conoscono gli orari d’uscita di tutte le scuole elementari, medie e superiori. Persone coraggiose, che fanno il primo passo verso l’altro, che vincono la naturale timidezza del “primo approccio”, che si fanno “aggregatori” anche in ambienti difficili come l’università e il lavoro. Educatori capaci di un sorriso pieno di vita e capaci di ascolto, che vivono nel loro stomaco, nella loro pancia i problemi, le difficoltà e le gioie dell’altro. Educatori che vivono insieme alla loro comunità ecclesiale e civile, non distaccati, non freddi, non “isolati”. Persone che sanno godere di un caffè, di una pizza e di una birra in compagnia, che sanno avere relazioni anche “fuori” dal contesto ecclesiale, perché anche da lì passa una testimonianza piena.

I nostri educatori, per farla breve, sono cristiani a tutto tondo. Perciò devono ricevere una formazione che abbia una forte radice interiore e un intenso bagaglio umano ed esperienziale. Su questi pilastri possono poi attecchire i contenuti più “alti”. Di teste piene e cuori vuoti non ha bisogno né l’Ac né la Chiesa né, soprattutto, le tante persone che ancora oggi aspettano una proposta per vivere la fede in Gesù Cristo. Lo sforzo dell’Ac diocesana – ma tutte le parrocchie devono sentirlo proprio – è vincere la sfida di formare educatori così, non con megacorsi che medicalizzano l’esperienza educativa ma con percorsi semplici, pensati e sostenibili.

Gioire. Quando il Papa parla di cristiani che si chiudono in parrocchia, e incatenano Gesù su una sedia per non farlo uscire fuori, parla di situazioni che conosciamo benissimo. A noi è richiesto più coraggio contro queste tendenze a chiudersi tra “pochi eletti”. Gli “eletti” di solito sono noiosi, spocchiosi, sanno tutto loro e dicono a chi vuole entrare “mi spiace ma tu non puoi stare al passo con quello che facciamo noi”. O peggio, ipocritamente, si lavano la coscienza con inviti tiepidi e formali. Quanto male facciano alla Chiesa, lo sapete benissimo. E noi? Spesso non siamo immuni da questo male, oppure ci accontentiamo di coltivare il nostro piccolo orticello e dire “siamo diversi”? Mi pare che da questo fantastico fine-settimana sia emersa un’altra indicazione: “cantare la fede”, cantarla fuori ma anche dentro le mura della parrocchie, per colorare le chiazze di grigio. L’empatia che ci è richiesta è diversa dalla simpatia. La simpatia è una dote naturale, non possiamo diventare tutti comici e battutisti. L’empatia, invece, quella capacità di “connettersi” con l’altro, chiunque egli sia, si impara alla scuola del Vangelo e dalla ferrea volontà di mettere le persone e le relazioni al centro della propria esistenza. E portare sul proprio viso il sorriso di chi crede non è un’operazione di marketing, né un atteggiamento da “ebetini”: si tratta di sapere che la nostra felicità risiede nella Resurrezione di Gesù, nella vita che trionfa sulla morte sempre, anche quando appare il contrario. Il cristiano ha momenti di tristezza come tutti, ma mai disperazione. Ha un cuore che soffre, come tutti. Ma ha un sentimento che va oltre i confini del tempo e dello spazio: si chiama speranza.

Tutti siamo rimasti colpiti dalla metafora dell’asinello propostaci dal nostro assistente nazionale, don Mansueto Bianchi. I laici di Ac, ha detto, sono come l’asino che porta Gesù a Gerusalemme. Mi viene in mente il passo evangelico del “servo inutile” che dopo aver fatto per intero il suo dovere non ha nulla da chiedere o da pretendere. Se abbiamo maturità umana e di fede, non ci vergogneremo mai di essere asini. Asini che portano Gesù nelle piazze. Asini che portano bambini, giovani e adulti al cospetto di Gesù. E da ciò ricavano il senso pieno della loro vita.

Marco

Il saluto di Franco al Papa (791 download)

Bianchi_Saluto-Santo-Padre_3mag2014.pdf (783 download)

il testo del discorso del Santo Padre

Il video integrale dell’udienza

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