Chiesa e giovani, un momento decisivo …

Lunedì ha preso il via l’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, ovvero la “riunione” di tutti i Vescovi d’Italia. Ha introdotto i lavori il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, con una ricca relazione ampiamente ripresa (e parzialmente commentata) dai media. Dal testo, vorrei estrapolare e sottoporre alla vostra attenzione il capitolo che mi ha maggiormente colpito, che in sostanza lega in un filo rosso il rapporto dei credenti con il proprio tempo, l’attuale “emergenza educativa” e l’attenzione della Chiesa ai giovani.

Particolarmente bello mi sembra il periodo con cui Bagnasco apre questo paragrafo:

“Per i credenti la storia non è mai una sequenza più o meno casuale di fatti; è sempre una storia di salvezza, la quale dà senso e prospettiva ad ogni azione che viene compiuta. Noi sappiamo che, con l’Incarnazione del Verbo, il tempo è stato rivisitato e, gravido di eterno, ha una destinazione prima impensabile. Kairòs, non più solo krònos, dunque. E di tutti i tempi, poi, quello che viviamo è il migliore perché è quello che il Padre, nella sua inesausta scienza d’amore, ha stabilito per noi, e per la misura dei doni che ci ha affidato, chiamandoci al rischio della vita. Questa, in altre parole, è per noi l’ora non del fato ma della Provvidenza, la quale ha un volto e un cuore, quello di Cristo. Un tempo dunque per il quale vogliamo esprimere non il lamento per le difficoltà, ma il ringraziamento perché meraviglioso. Magari è anche meravigliosamente arduo, ma pur sempre accostabile coi nostri passi e con la grazia dello Spirito”.

Riporto integralmente questo passaggio per non rovinarlo, e vi invito a legarlo con l’intera parte introduttiva della relazione di Luigi Alici alla XIII assemblea nazionale, che, come Bagnasco, sottolinea come questo sia un tempo di grazia, un tempo donato amorevolmente dal Padre, e non un tempo che siamo condannati a subire.

La bellezza e la complessità di questo tempo, spiega poi Bagnasco, sono lo stimolo decisivo per “una rinnovata opera educativa… Il Papa, incontrando domenica 4 maggio i 100 mila dell’Azione Cattolica, ha parlato ancora una volta di «emergenza educativa». Nel lungo periodo della Pasqua, abbiamo più volte riflettuto sulla scansione del rito ebraico fondato sulla narrazione del legame fra le generazioni, quella dei padri e quella dei figli. Dove la tradizione è una dimensione fondamentale del presente, come dicevamo al Convegno di Verona. Ebbene, questa dinamica è il paradigma vero di ogni rapporto educativo che è testimonianza che i padri danno ai figli, che gli educatori danno ai più giovani. E l’emergenza educativa che cosa è, se non l’interruzione, lo spezzarsi di questo racconto che una generazione deve fare all’altra?… Non ci sfugge peraltro la sottigliezza del problema educativo odierno: se educare non è mai stato facile, oggi lo è ancor meno perché non pochi educatori dubitano della possibilità stessa di educare, e dunque rinunciano in partenza al proprio compito. Parlando al capitolo generale dei Salesiani, Benedetto XVI osservava: «Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita». Insomma, qui siamo. Ma qui, sugli spalti di una ricomprensione della missione educativa che ci tocca in quanto Chiesa, vorremmo, se così si deciderà, per un po’ soffermarci, come in passato s’è fatto per altre dimensioni dirimenti del nostro essere Chiesa”.
La Chiesa, dunque, si ferma a riflettere sul complesso tema dell’educare. Sappiamo che questo tema sarà anche alla base dei nuovi orientamenti pastorali per il decennio 2011-2020, che vedranno la luce nei prossimi mesi. E la tensione educativa non potrà che rivolgersi, in modo privilegiato, ai giovani: “Se, come Vescovi, a qualcuno non smettiamo mai di pensare, e se qualcuno è particolarmente vicino al nostro cuore, questi sono i giovani. Per loro sappiamo di non fare mai abbastanza. Specialmente in questo momento storico, i giovani sono i primi bersagli della cultura nichilista che li invita, li incoraggia, li sospinge a coltivare soltanto le “passioni tristi”. È una cultura che instilla in loro la convinzione che nulla di grande, bello, nobile ci sia da perseguire nella vita, ma che ci si debba accontentare di un “qui ed ora”, di obiettivi di basso profilo, di una navigazione di piccolo cabotaggio, perché vano è puntare la prua verso il mare aperto. L’esito finale della cultura nichilista è una sorta di grande anestesia degli spiriti, incapaci di slanci e quindi inerti… In tal modo i sogni e i desideri tipici dei giovani vengono frantumati proprio mentre chiedono invece di essere protetti, coltivati nel lavoro educativo, e sospinti verso mete nobili e alte, che noi sappiamo essere a misura dei giovani. Questo, oggi, può essere considerato l’obiettivo di fondo dei “percorsi di evangelizzazione ed educazione” da proporre ai giovani, e dei quali ci parlerà il nostro Vice-presidente, l’Arcivescovo Agostino Superbo, nella relazione che svolgerà nel corso dei lavori assembleari. Da parte mia, vorrei limitarmi ad osservare una cosa forse ovvia, ma decisiva, e cioè che questi percorsi sono possibili, e costituiscono un obiettivo realistico anche nella situazione d’oggi. So bene infatti che proprio qui si annida una particolare sfiducia, ritenendo che l’organizzazione della vita giovanile e ancor più il tipo di applicazione intellettuale a cui sono abituati, impressionistica ed episodica, quasi falcidi − dalla base − la possibilità di itinerari distribuiti nel tempo e dunque progressivi e metodici. Ora, non c’è dubbio che occorra saggiamente tener conto di una serie di condizionamenti e abitudini di apprendimento, non però per arrenderci, quanto per calibrare secondo proporzioni nuove i momenti della proposta. A partire da ciò che sta oggettivamente al centro di ogni percorso cristiano, ossia l’adorabile persona di Cristo Signore. Ciò tuttavia non significa che, come si diceva una volta, Cristo “arriva alla fine della proposta”: l’annuncio kerigmatico oggi cattura più solitamente dall’inizio, perché è realmente il fascino esercitato dalla persona di Gesù a colpire, per contrasto, magari come ragione di un evento che turba o come senso profondo di una testimonianza di vita che colpisce e sgomenta. Ma anche come reazione abissalmente altra rispetto al vuoto desolante, rispetto ai progetti di de-costruzione che passano per l’assunzione delle droghe o dell’alcol, per i riti dell’assordimento e dello stordimento. Cristo allora diventa come il risveglio inaudito ad una vita diversa, radicalmente altra, ideale subito concreto e pertinente, principio riordinatore di un’esistenza via via capace di altri sapori e di altri riti”.

Mi sembrano passaggi decisivi: da un lato non dobbiamo rinuniciare a itinerario di accompagnamento alla fede che puntino sulla gradualità, dall’altro non possiamo rinunciare a itinerari di riscoperta della fede che hanno un punto solido di partenza: il fascino davvero incredibile di Gesù Cristo. Il lungo paragrafo dei giovani si chiude con questa positiva affermazione: “Anche Papa Ratzinger, come il suo grande predecessore, non mortifica i giovani né li giudica. Neppure noi li giudichiamo, vogliamo piuttosto dare loro fiducia: sappiamo che sono profondamente buoni, e insieme spesso smarriti, alla ricerca di ideali non fittizi, per cui spendere la vita. E talvolta la sanno generosamente spendere fino al sacrificio! Il problema dei giovani sono gli adulti. Essi non respingono l’autorità, cercano l’autorevolezza dei testimoni e dei maestri”.
Ovviamente, ho selezionato in modo personale i tanti contenuti della relazione. Ma ritengo che una lettura attenta di questo testo sia davvero doverosa, perché in essa ritroviamo anche molti dei principi ispiratori della proposta formativa dell’Azione Cattolica.