Se si poteva evitare bisognava farlo

Quattro famiglie distrutte in una tragedia annunciata. Dire che una tragedia è annunciata significa dire che era evitabilissima. E l’incidente sul lavoro che a Torino ha strappato la vita a quattro lavoratori era, a detta di molti, evitabile.

Suscita sdegno pensare che quelle quattro persone lavorando sono morte perché, forse, qualcuno non ha fatto bene il proprio lavoro, non l’ha fatto seguendo la legge (e la propria coscienza), ma solo il proprio tornaconto e con troppa leggerezza.

Noi non conoscevamo i quattro lavoratori di Torino, ma conosciamo i nostri lavoratori, i nostri genitori, i nostri figli, i nostri fratelli e le sorelle, sappiamo cosa significa alzarsi ogni giorno per lavorare e farlo per portare avanti una famiglia.

Non possiamo lasciarci scivolare addosso questa nuova tragedia annunciata che speriamo, anche se non ci crediamo, sia l’ultima.

Speriamo che la morte di quelle quattro persone, quei quattro padri, mariti e fidanzati non serva solo a far scandalizzare e a far urlare “non è possibile”, ma anche a riflettere.

Vorremmo invitarvi a farlo attraverso la lettura della Laborem Exercens, l’enciclica che Giovanni Paolo II scrisse nel 1981 (più di 25 anni fa) in cui veniva sancita la dignità e la “necessità” morale del lavoro

9. […] Il lavoro è un bene dell’uomo – e un bene della sua umanità – perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo.

e veniva ribadito con forza, in uno dei passaggi più noti di questa enciclica che

6. Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.

In una tale concezione sparisce quasi il fondamento stesso dell’antica differenziazione degli uomini in ceti, a seconda del genere di lavoro da essi eseguito. Ciò non vuol dire che il lavoro umano, dal punto di vista oggettivo, non possa e non debba essere in alcun modo valorizzato e qualificato. Ciò vuol dire solamente che il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso, il suo soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una verità che l’uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è per l’uomo, e non l’uomo per il lavoro. Con questa conclusione si arriva giustamente a riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro (inteso come uomo-soggetto del lavoro) su quello oggettivo (la tecnica). Dato questo modo di intendere, e supponendo che vari lavori compiuti dagli uomini possano avere un maggiore o minore valore oggettivo, cerchiamo tuttavia di porre in evidenza che ognuno di essi si misura soprattutto con il metro della dignità del soggetto stesso del lavoro, cioè della persona, dell’uomo che lo compie. A sua volta: indipendentemente dal lavoro che ogni uomo compie, e supponendo che esso costituisca uno scopo – alle volte molto impegnativo – del suo operare, questo scopo non possiede un significato definitivo per se stesso. Difatti, in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo – fosse pure il lavoro più di servizio, più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante – rimane sempre l’uomo stesso.

Qui trovate il testo completo dell’enciclica

Mentre qui c’è il “commento” del MLAC affidato alle parole del suo segretario nazionale, C. Nervegna