E’ notizia recente che nell’ultimo anno sono andate via da Napoli 9mila persone. L’annuncio mi ha riportato alla mente un episodio cui ho assistito qualche giorno fa, mentre ero in attesa della metropolitana alla fermata di piazza Leopardi. Era l’ora di pranzo e, tra le poche persone presenti, una ha attirato la mia attenzione: era una mamma con i suoi due figli. La signora imprecava contro la città, i disservizi e sottolineava la sua insofferenza rivolgendosi ai figli con frasi del tipo “Io vi mando a studiare fuori! Cosa vi offre questa città? Cosa vi può dare? Gli amici li saluterete quando vi ritornerete in vacanza!”. Il figlio ha risposto con la massima calma “Se così fosse non ci dovrebbe essere più nessuno a Napoli”, la pronta risposta è stata “Ed infatti chi ha un po’ di sale in zucca e può permetterselo è andato già via”. Anche io non sopporto Napoli e i napoletani, sto male per il degrado fisico e morale che vedo aumentare quotidianamente, per la “strafottenza” che permea ormai ogni ambiente e soprattutto ogni persona, per le perdita quasi totale del concetto di legalità, per quel senso di rassegnazione e delusione che ha spazzato via dal cuore e dalla mente della maggior parte dei cittadini (perché questo siamo: soggetti attivi e non pupazzi, ricordiamolo noi prima di tutto) il concetto di “bene comune”, sostituito rapidamente da un egoismo celato dietro ad un “aiutati che Dio ti aiuta” che sa quasi di beffa …Anche io più volte ho sussultato quando mi sono chiesto “è ancora possibile crescere dei figli qui?” ed in passato ho manifestato espressamente la mia volontà di andarmene, con la consapevolezza che non sarebbe stata una ritirata strategica, ma più un misto tra una dichiarazione di sconfitta e una fuga con la coda fra le gambe.Ma ora non la penso più così.Non mi piace inserirmi nei discorsi delle persone e alla stazione non l’ho fatto, ma ho provato molta tristezza per quella signora e più che per lei per i loro figli: Napoli e i napoletani hanno comunque tanto da offrire perché se è vero che non è tutto oro quel che luccica, è ancora peggio gettare le colpe di molti sulle spalle di un eguale numero di persone, di far passare per completamente nero un qualcosa che è almeno colorato per il 50% (ma sarebbe lo stesso se fosse anche solo il 10).Andare via per non tornare, per non volerne sapere più nulla, gettare la spugna, non significa avere un po’ di sale in zucca: significa non essere diversi da chi additiamo di menefreghismo e di scarsa cura di ciò che ci appartiene.Non possiamo pretendere di aspettare che le cose cambino perchè “imposte” dall’alto, non accadrà e non potrà accadere anche perché lo Stato, da solo, non può risolvere i problemi della città: non può scendere in guerra contro la camorra (perché di quello si tratterebbe per debellarla), né può cambiare le mentalità.E così, mentre guardavo quella madre coi suoi figli, il mio pensiero andava a chi tanto fa lontano dalle pagine dei giornali mettendoci la faccia in prima persona, alle famiglie che intorno alla tavola si ritrovano dopo una giornata vissuta nella e per la città, di chi in Napoli non ha mai smesso di credere perché farlo significherebbe smettere di credere dapprima in se stessi. Ho pensato a chi ogni giorno forma i futuri cittadini, insegnanti, educatori; chi con la sua silenziosa testimonianza, il suo lavoro, la sua passione ci dimostra tutti i giorni che un futuro c’è, che non ci si può dichiarare napoletani solo quando si sentono nominati Totò, De Filippo e Troisi. E ho pensato anche ai recenti Disegni di Speranza per la Città e a ciò che disse una volta Borsellino, riferendosi alla sua di città (perché non solo noi abbiamo i nostri problemi): “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla: perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non piace per poterlo cambiare”.
Enzo Formisano