C’è sempre il rischio che alcune ricorrenze e celebrazioni siano costruite intorno alla nostalgia. Che si festeggino alcune date solo per un dovere formale. Che si usino, in queste circostanze, solo vuote frasi retoriche. Insomma, ci sono momenti, nella vita del Paese, che sembrano fatti apposta per tenere alla larga voi giovani.
Voi, lo sappiamo bene, detestate le formalità. Riconoscete e naso la falsità e l’ipocrisia che si respirano in certi ambienti e in determinate situazioni. Diffidate, non senza ragione, di cerimonie ingessate dove tutti recitano il loro copione senza passione e originalità. Se poi ci si mette anche la politica con le sue incomprensibili polemiche la frittata è fatta.
Così rischia di accadere per il 17 marzo, giorno scelto per festeggiare l’unità d’Italia. Polemiche e retorica hanno provato a stritolare questa data, togliendoci anche il diritto di rifletterci sopra con serenità.
Sottraendoci a questa morsa, però, due domande sincere possiamo farcele. La prima: siamo davvero “fratelli d’Italia?”. La seconda: siamo “desti”, così come ci invita il nostro inno?
La storia è zeppa di contraddizioni, identità, territori e personalità contrapposte. Le ricostruzioni dei libri di scuola talvolta non rendono conto degli aspetti più problematici e complessi. L’unità d’Italia non è stata una cavalcata trionfale. Non è stata nemmeno una passeggiata in un mare di consensi. Ma le due domande che prima vi ponevo non sono legate ai fatti storici, quanto all’attualità.
Da credente e da cittadino, alla prima domanda, rispondo così: si, siamo fratelli d’Italia. Siamo uniti più di quanto osiamo pensare. Esiste una italianità che supera i localismi e i campanili. Esiste davvero un genio italiano, uno stile italiano, una solidarietà che ci lega gli uni agli altri oltre le ideologie culturali e politiche. Non ci lasciamo ingannare: da soli, Nord, Centro e Sud non vanno da nessuna parte, non hanno alcun futuro economico, sociale, culturale morale. E chi grida ferocemente contra una parte del Paese persegue solo ciechi fini populistici.
Chi crede, parte da una premessa: prima ancora che essere divisi in etnie, territori, tratti somatici, culturali e religiosi, ci riconosciamo come fratelli e cittadini dell’unica famiglia umana! E chi ha come orizzonte la famiglia umana universale comprende un segreto fondamentale: noi siamo unità di tante identità diverse. Carissimi, siamo allo stesso tempo, e con la stessa intensità, meridionali, italiani, europei, occidentali, figli del mondo!
Potremmo accorgercene ogni giorno nelle nostre piccole scelte quotidiane: il tifo per la squadra di calcio della nostra città si unisce alla lettura del quotidiano che parla di
faccende nazionali, una fiction europea appassiona noi come i nostri coetanei in Gran Bretagna, in chat, su Facebook, dialoghiamo con amici o parenti che si trovano in ogni parte del mondo. Già siamo una bella unione di più identità! E con il 17 marzo decidiamo di riconoscere come centrale, in questo prisma, l’identità di italiani, popolo che nei chiaroscuri del passato e del presente si è riconosciuto in valori comuni grazie ai quali ha affrontato con originalità e spirito di volontà mille prove. Penso solo a quanti giovani, in nome della propria italianità, sono corsi a L’Aquila in seguito al terremoto di 2 anni fa.
La seconda domanda mi sta altrettanto a cuore: noi, meridionali e italiani, siamo desti? Siamo attenti e svegli di fronte a tutto ciò che mina la nostra unità materiale e morale? Siamo pronti a difendere e promuovere quei grandi valori, molti mutuati dalla tradizione cristiana, che ci caratterizzano nel mondo? Ma, soprattutto, siamo desti nel riconoscere insidie come l’illegalità, l’ingiustizia, l’irresponsabilità, la disaffezione al bene comune? Oggi, a mio parere, essere meridionali fedeli alla nostra storia, e italiani fedeli al meglio del nostro passato e del nostro presente, significa essere persone capaci di riconoscere il male privato e sociale, di affrontarlo, di fare di tutto per sradicarlo.
Vorrei affidare ciascuno di voi ad alcuni esempi di tre persone, giovani fuori e dentro, che con la loro vita hanno espresso il meglio della nostra cultura nazionale: estro, generosità, dono di sé… Pier Giorgio Frassati, giovane di ottima famiglia torinese, dava il meglio di sé nella semplicità dell’amicizia e nell’amore (segreto) per i poveri; Rosario Livatino, giovane magistrato, fu così innamorato della giustizia e della verità da andare incontro alla morte; don Peppino Diana, giovane sacerdote, che «per amore del suo popolo» non seppe e non volle tacere le ingiustizie della camorra.
Nella speranza di avervi aiutato a trovare una chiave di lettura in questo giorno di festa, vi saluto con affetto e colmo di speranza: sarete voi, cari giovani, a superare gli steccati e le barriere tra territori e persone, ad essere autenticamente e tipicamente italiani con la vostra capacità di unire e non dividere!
padre Beniamino
Nola, 17 marzo 2011
caro padre,
la ringrazio xkè ciò che lei dice, mi fa essere ancora più fiera di credere nell’unità…. noi giovani dobbiamo essere la “colla” che unisce…. dobbiamo partire da noi stessi , da chi ci sta accanto…… cm mi è sempre stato detto, si parte dalle piccole cose x farne di grandi…..
grazie in xto..
mina 🙂