Lettera alle persone che vivono nella criminalità
Vorrei gridare, come fece Giovanni Paolo II in Sicilia: «Convertitevi!». Un urlo lancinante che ha segnato la mia esperienza di pastore. Allo stesso tempo, però, vorrei quasi sussurrarvi: «Un’altra vita è possibile… la felicità è una porta che può aprirsi anche per voi… il presunto coraggio di uccidere e fare del male può diventare vero coraggio, quello di dire la verità e fare verità dentro di sé…».
Si, voglio parlare con voi e a voi, alle persone che hanno fatto e fanno scelte criminali. Come ogni uomo e ogni donna, anche voi avete bisogno e diritto ad una parola chiara. Probabilmente mi risponderete, in dialetto: «Ma chi te l’ha chiesta? Fai il prete, pensa ai sacramenti…». Non m’importa: io voglio parlare lo stesso. Mi sono spesso rivolto alle istituzioni e alla gente. Questa volta, invece, mi rivolgo a voi. Perché siete voi, proprio voi, il punto.
Forse, se ciascuno di voi raccontasse la sua storia, emergerebbero tanti diversi profili. Chi è vissuto intriso di cultura camorristica, al punto da pensare che il mondo non possa che andare così, secondo la legge del più forte… chi si è sentito attratto da soldi facili e potere, chi ha sentito il “brivido” della violenza, chi ha inteso “farsi da solo”, chi ha preso questa strada come “ultima spiaggia” dopo aver cercato un lavoro legale, chi ha pensato di ribellarsi con la forza bruta dalla povertà… Vi dico, da pastore, che avrei non solo la curiosità, ma il desiderio di ascoltarle davvero queste storie.
Allo stesso tempo, però, sarebbe importante che voi ascoltaste altre storie. Quella di Mario, commerciante con moglie e tre figli, che ha chiuso per via delle vostre angherie e ora tira a campare tra mille umiliazioni e un senso profondo di fallimento, quella di Giuseppe, imprenditore che si è trasferito al Nord lasciando senza lavoro 50 persone della nostra terra, quella di centinaia e centinaia di persone uccise o ridotte a letto dai fumi tossici dei rifiuti sversati senza regole. Quella di Fabio, giovane laureato in Chimica con 110 e lode che non trova lavoro solo perché ha dignità e non è disposto a stare a regole ingiuste, spesso scritte da voi con la complicità della politica e dell’economia “legale”. Quella di Marina, che ogni pomeriggio passa la giornata alla finestra, a controllare i due figli adolescenti che giocano sotto casa, con l’ansia di evitare loro “brutti giri”. Vorrei che le ascoltaste, anche se già le conoscete. Insieme, queste storie dicono una sola cosa: quante sofferenze in questo nostro territorio! Quante lacrime, quante stragi di innocenti, quante paure per il presente e per il futuro!
Spesso noi meridionali – e sono certo anche voi – ci riempiamo la bocca dell’amore per la nostra terra. Ovunque proclamiamo il nostro senso di appartenenza. Una vittoria della squadra di calcio ci cambia la settimana. Ma se giorno per giorno la distruggiamo, questa terra, l’amore che proclamiamo è falso e ipocrita. È come dire di voler bene ad una donna che sta ferma immobile su una sedia, disponibile a farsi schiaffeggiare in ogni momento. È amore questo? No, è qualcosa di perverso e degradante. Stiamo sciupando una storia, una cultura, una terra, il patrimonio che ci è stato consegnato. Stiamo vanificando il dono stesso della vita.
In un famoso film americano, Bronx, una grande star di Hollywood, Robert De Niro, che interpreta il ruolo di un dignitoso conducente di autobus, così spiega al figlio cosa sono i delinquenti. «Sono talento sprecato, figliolo, ricorda, talento sprecato…». Ecco, talento sprecato. Intelligenze sottratte ad una causa buona, e messa a servizio della peggiore delle cause. Mani strappate alla bellezza e consegnate alla bruttura. Piedi tolti da una strada dritta per attraversare un sentiero fangoso. E quello che più mi rattrista è che associate ai vostri gesti, alle vostre azioni, ai vostri comportamenti addirittura un senso religioso. No, questo no, non è plausibile. In nessun modo Dio approva l’omicidio di singole persone e di una collettività, la violenza, la superbia, l’ingiustizia, l’illegalità, il ricatto… E non sono grandi statue di santi, o sontuose offerte economiche o residui della superstizione popolare che vi fanno essere credenti autentici. Ve lo dico con tutta la chiarezza di cui sono capace! E mentre lo dico a voi, lo dico a tutto il popolo di Dio, ai fedeli laici, ai sacerdoti, ai religiosi: la vita criminale non è compatibile con la fede in Dio Padre!
Tante persone a volte mi dicono con senso di provocazione: «Padre, ma per 500 euro al mese non è meglio che faccio il camorrista?». «No! – rispondo d’impeto -. Se tu guadagni 500 euro è proprio per quel meccanismo perverso che la criminalità orienta, e che porta il debole a sopperire. Se passi dall’altra parte, domani tuo figlio ne guadagnerà 300…». Certo, facile parlare per un vescovo, uno che, come dite voi, «sta sempre chiuso in quel bel palazzo». Ma nemmeno questa considerazione mi fa desistere dal dire un’ultima cosa. Quando un uomo o una donna tornano a casa, di sera, è come se facessero i conti con la loro giornata. È essenziale, per ciascuno di noi, poggiare la testa sul cuscino dicendo: «Ho fatto tutto quello che dovevo e potevo, e sono pronto a fare altrettanto domani…». Voi, se ci pensate, vi state negando la possibilità di un sonno sereno e giusto. E negandovelo, lo negate ai vostri cari. E, ormai, lo state negando a noi tutti.
Ecco, ora che con grande trepidazione vi ho detto quanto sentivo, anch’io posso poggiare la testa sul cuscino con il cuore più libero, ma non meno inquieto. Vi penso in case lussuose, in poveri appartamenti, in cella, per strada, in una masseria abbandonata. Prego perché la vostra conversione potrebbe essere la salvezza di questo popolo. In nome di Dio che ama la giustizia e la verità, recuperate la bellezza della vera umanità, con il vostro cambiamento interiore ridate speranza alla gente, recuperando il vostro senso della verità restituite un futuro sereno alle nostre città, al nostro sviluppo. Ho fiducia che anche in voi continui ad esserci il desiderio di altro, dell’altro e dell’Altro.
Padre Beniamino Depalma